Il Pinot Nero e il rugby degli All Blacks
Una sfida in cantina. Una di quelle che abbatte i confini. Del resto, c’è una lunga marcia da fare e un equatore da attraversare. Tenere insieme in una bottiglia di Pinot Nero le nebbie dell’Oltrepò Pavese e quelle dell’isola di Central Otago in Nuova Zelanda può essere due cose: o una stregoneria, o il frutto di una sapiente operazione di ricerca e di studio.
Propendiamo per la seconda ipotesi. Ce la ritroviamo di fronte quando facciamo compiere rotazioni perfette al tappo a vite dell’Ambo Nero – Pinot Noir Provincia di Pavia I.G.T.
Il profumo che si sente è quello del firmamento di cascine dell’Oltrepò Pavese. Il concetto è quello della tecnica che ha portato la Nuova Zelanda ad affermarsi come New World Wine Producer e a diventare, in poco tempo, una delle realtà del pianeta più importanti nella vinificazione. Non male per una nazione che ha imbottigliato il suo primo vino negli anni ’30 dell’Ottocento.
Il fattore comune è il Pinot Nero che non ti aspetti. Quello che l’Italia ha ereditato dai borgognoni, diventando seconda potenza mondiale in questa particolare produzione, e quello che ha trovato una vitalità imprevedibile in un continente ai confini del mondo. Del resto, in Nuova Zelanda, il nero ce l’hanno nel sangue: che sia un Pinot o che siano gli All Blacks che seguono i rimbalzi incalcolabili di una palla ovale.
Pinot Nero: le tecniche di produzione dalla Nuova Zelanda
Negli ultimi anni, dalla Nuova Zelanda, abbiamo appreso più tecniche di produzione e marketing del vino che touche, pacchetti di mischia e schemi di rugby. E anche questo è un bellissimo paradosso. L’Ambo Nero, da questo punto di vista, è il termometro che misura l’innovazione. Mettendo da parte, per questo specifico Pinot Nero barriques e complesse tecniche di fermentazione, si è scelta l’agilità dell’acciaio inox che riesce a far emergere, senza contaminazioni, l’armonia di sottobosco che questo vino ha con sé sin dal grappolo.
L’altra grande barriera che si è deciso di abbattere è quella del tappo a vite, che in Nuova Zelanda è la regola aurea, in Borgogna il sacrilegio impronunciabile. Eppure, è una scelta strategica se si punta a distribuire intatto il sapore tipico di un territorio – in questo caso l’Oltrepò Pavese – a qualsiasi latitudine. Il tappo a vite dà garanzia di conservazione e permette uno stoccaggio molto più spensierato (e in minori volumi) delle bottiglie di vino. È il frutto di un viaggio attento, il segnale di una elasticità mentale che ha permesso di comprendere, senza pregiudizi, le ragioni di un successo.
Gli All Blacks sanno andare in meta meglio di chiunque altro al mondo, ma sarebbe stato limitante per loro non recepire gli stimoli offerti continuamente dal rugby europeo. Il principio vale, a parti invertite, per i produttori di Pinot Nero che vogliono stare al passo con i tempi. Scendere dal piedistallo di una botte in legno e prendere il buono che c’è nella novità.